mercoledì, giugno 10, 2009

quante puttanateeeeeeeeeeeee..................

Tlc, piano governo da 1,47 mld per banda larga

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ROMA (Reuters) - Il governo vuole mobilitare 1,471 miliardi in gran parte pubblici per assicurare l’estensione della banda larga su tutto il territorio italiano entro fine 2012.Lo ha detto il vice ministro dello Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni, Paolo Romani.”Cancellare il ‘digital divide’ italiano [cioè cancellare le discriminazioni nell’accesso alle nuove tecnologie di Internet] costa 1,471 miliardi di euro. Entro la fine del 2012 tutti gli italiani avranno la possibilità di connettersi a Internet a una velocità compresa tra 2 e 20 Megabit al secondo”, ha detto Romani.Secondo Francesco Caio, che ha redatto per il governo un rapporto sullo sviluppo della banda larga, il ruolo del governo è essenziale perché “senza un intervento pubblico c’è il rischio reale che il Paese si trovi indietro rispetto alle esigenze crescenti della popolazione”.Caio, infatti, si mostra perplesso sulla capacità di Telecom Italia e degli altri gestori di sostenere la mole di invstimenti necessari allo sviluppo di Internet ad alta velocità.”Obiettivamente è difficile. Non penso che Telecom Italia accelererà gli investimenti. E nessun altro gestore penso accelererà gli investimenti in fibra”, ha detto Caio.DA SVILUPPO BANDA LARGA INCREMENTO PIL PER 2 MLDLa copertura della banda larga sarà realizzata prevalentemente in fibra. Il piano del governo prevede opere civili per 763,85 milioni, la fornitura di software e hardware per 617,66 milioni e attività di progettazione del valore di 89,81 milioni.”Investire quasi un miliardo e mezzo potrebbe portare a un incremento di Pil di circa 2 miliardi. Studi Ocse fissano infatti a 1,45 il moltiplicatore congiunto del settore comunicazione sull’intera economica”, ha aggiunto il vice ministro.Romani ha fornito anche una copertura finanziaria di massima dell’intervento. Nel dettaglio, 800 milioni sono già previsti dal disegno di legge sullo sviluppo e di riforma del processo civile, licenziato dal Senato il 26 maggio scorso.Fondi che, spiega Romani, sono “ora all’esame del Comitato interministeriale per la programmazione economica”, il Cipe.Le risorse provengono principalmente dai fondi Fas per le aree sottoutilizzate e vanno a integrare finanziamenti pubblici “già stanziati” per circa 264 milioni.Il governo conta di integrare la dote per la banda larga attingendo anche ai fondi europei. Romani ha spiegato infatti che la Commissione europea, sollecitata con forza dal governo italiano, ha destinato quasi un miliardo di euro alla realizzazione della banda larga in Europa.”Il progetto nazionale dunque potrà essere integrato di ulteriori 188 milioni di euro (di cui 94 milioni di euro comunitari e 94 milioni della quota parte nazionale)”, ha detto Romani, spiegando che i fondi comunitari saranno investiti soprattutto nelle aree rurali con problemi di sviluppo.PRIVATI PARTECIPERANNO PER ALMENO 210 MLNPer arrivare agli 1,47 miliardi in totale, il governo conta sull’impegno, pari ad almeno 210 milioni, anche dei privati.”È ovvio che anche i privati dovranno fare la loro parte. Anzi, a mio avviso dovranno tirare fuori anche più di 210 milioni”, ha detto il vice ministro.Il governo ha individuato nella finanza di progetto il meccanismo più efficace per incentivare i privati a investire risorse nello sviluppo della rete. L’idea è di ricorrere a una gara ad evidenza pubblica a cui potranno partecipare gli operatori interessati ai contributi.Se a breve termine il governo punta a eliminare il digital divide, “l’obiettivo a medio termine, invece, è quello descritto nel rapporto Caio, ovvero implementare le reti di nuova generazione”.”Un investimento importante - stimato in circa 10 miliardi di euro - e complesso perché interviene nel vivo della rete di accesso”, ha detto Romani, spiegando che il governo punta a “portare la fibra sino a casa degli italiani offrendo così una connessione a Internet a oltre 50 megabit al secondo”.

lunedì, maggio 04, 2009

Oggi denuncio Facebook

 

Da sapere, perchè prima o poi capita a tutti. Misteri del web.

Repubblica

SCENE DIGITALI DI VITTORIO ZAMBARDINO

Oggi denuncio Facebook

Oggi presenterò una denuncia contro Facebook al presidente dell’Autorità garante dei dati personali, il professor Francesco Pizzetti. Con il mio legale sto valutando di ripetere l’iniziativa con l’autorità per le Comunicazioni. Cos’è successo? Nulla di nuovo, purtroppo, non sono che uno dei tanti cui Facebook ha cancellato l’account senza alcun “warning” o avviso preventivo: centinaia di messaggi personali, decine di testi e foto, 859 contatti. Il tutto senza dare spiegazioni, senza dirmi il motivo del provvedimento. Ho perciò deciso di fare di questa vicenda il terreno di una battaglia non personale ma di diritto. Non si tratta di riavere indietro le mie poche carabattole digitali.

E’ una questione di trasparenza e di legalità negate.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo i fatti nel dettaglio. Poi faremo qualche ragionamento.

“Il tuo account è stato disabilitato” e non ti diciamo perché - Alle 7,02 del mattino di venerdì primo maggio ho aperto dal mio iPhone il programma di consultazione di Facebook. Non riuscivo ad entrare: login o password non corretta, era la risposta del sistema. Mi sono insospettito: le password erano memorizzate, non potevano esser cambiate da sole. Allora ho acceso il computer ed ho visto il messaggio di condanna: “la tua password è stata disabilitata”. Mi dicono che posso contattare il team che si occupa dei rapporti con i clienti.

“Leggi i terms of service, paisà” - Ovviamente scrivo subito all’indirizzo che mi è stato dato, in italiano e, poiché conosco i miei polli, anche in inglese. Pochi minuti e mi arriva una mail (in inglese). Evidentemente automatica. Dice che hanno ricevuto la mia segnalazione, ma che nel frattempo mi consigliano di leggere i termini d’uso - come per dire: hai la coscienza sporca, guardati dentro. E io li rileggo - l’avevo già fatto, perché mi occupo di questo campo da 17 anni - e ho la conferma di ciò che già so: non ho violato nessuna delle regole d’uso di Facebook.

Ma non posso fare a meno di notare la follia di un documento scritto in parte in italiano ed in parte in inglese. I passi nella nostra lingua non sono stati nemmeno rivisti da un correttore: ci sono parentesi che non si chiudono, errori di lessico e qualche passaggio in puro italiano “broccolino”. Sembra di stare nel Padrino con Marlon Brando.

Ma non siamo qui per fare colore: un testo come questo, che equivale a un contratto, è nullo perché non scritto in modo consono. Ma intanto - mi dico - mi risponderanno e mi daranno la possibilità di spiegargli che si sono sbagliati…”. Amenoché…

“A pensar male, con tutto ciò che segue…” -  A pensar male e a far peccato, ci sarebbero due o tre “stati”, i pensierini di Facebook, in cui ho ironizzato su fatti di cronaca. In uno ho scritto che si attendeva un pronunciamento del papa contro i wurstel (una battuta abbastanza tiepida sull’onnipresenza delle dichiarazioni pontificie, pubblicata mentre imperversava la paura dell’influenza suina).

E poi ci sono vari articoli in questo post/rubrica in cui ho criticato Facebook, proprio a proposito di ciò di cui mi sto occupando adesso: il fatto che se succede il sia pur minimo incidente con il social network non hai a chi rivolgerti perché l’azienda di Mark Zuckerberg si rifiuta ostinatamente di aprire una rappresentanza italiana e il quartiere operativo europeo, che è a Dublino, resta un’entità lontana, irraggiungibile. Ma dai, mi son detto, stai a vedere che con 7 milioni di utenti in Italia se la prendono proprio con te.

Intanto erano passate 24 ore e dal “team” ancora nessuna risposta.

I robot di Facebook e la paranoia -  Per la verità ho anche scritto più volte che Facebook è un grande fenomeno da prendere in seria considerazione. E l’ho onorato con la mia presenza e con i miei pensieri, come altri milioni di italiani fanno ogni giorno. L’ho fatto perché di cultura digitale scrivi se sei con le mani in pasta nelle diverse applicazioni, oppure fai solo elzevirismo inutile (e poi mi piace, ciò che posso dire di tutto il mio lavoro).

In marzo, dopo che avevo riferito dell’account disabilitato (e poi riattivato) a Nino Randisi, giornalista siciliano antimafia, ero stato contattato in modo riservato da un professionista italiano. Era latore di un messaggio da parte di una dirigente americana di Facebook. Mi spiegavano che si era trattato di uno spiacevole incidente frutto dell’errore dei “bot”, cioè di programmi che lavorano in automatico e controllano l’attività degli utenti. Mi dicevano che può avvenire quando magari uno “si muove troppo”, mette tanti video, pubblica troppe foto, manda migliaia di mail e ha troppi commenti. Un errore della “macchina” insomma. Avevo preso nota della rettifica, l’avevo pubblicata, avevo ripetuto che mi sembrava un  modo non rispettoso delle persone e degli utenti italiani di gestire le cose solo in automatico e senza un minimo di saggezza umana.

(Io per la verita mi “muovo” poco. Mando sì molte mail - siamo però nell’ordine delle decine al giorno - ma tutte alle stesse persone, perché Facebook fa presto a diventare una chat in differita. Certo,  c’è chi mi ha suggerito che si potrebbe ipotizzare che alla parola “papa” sia associato un certo grado di vigilanza da parte dei medesimi robot… ma Fb è piena di satira sul papa e le posizioni del Vaticano, dovevano beccare proprio me?)

L’accusa non detta e il “sentirsi sporchi” - Più di uno mi ha prospettato l’idea che qualcuno che conta si sia voluto liberare del mio account: si può fare, si può segnalare all’azienda che i contenuti di un certo utente sono “inappropriati”, poi però ci sarebbe da vedere chi è che valuta la segnalazione. Ma insomma, non sono paranoico fino a questo punto e comunque vado anche oltre: riconosco il diritto di Facebook di liberarsi di chiunque, ma solo dopo aver detto con chiarezza quale infrazione è stata commessa.

L’aspetto “culturalmente” inquietante di tutto ciò è che essere buttati fuori da un giorno all’altro e senza spiegazioni ti mette in uno stato di anomia. Ti fa sentire già colpevole anche se non conosci l’accusa. Ricordate Kafka? : Qualcuno doveva aver calunniato Josef K, perché senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato…“.

E’ un meccanismo emotivo potente. Ho parlato con almeno cinque amici che hanno insistito per interi quarti d’ora sul tema: “Riflettici, qualcosa hai fatto, non possono averti buttato fuori per niente”. Istintivamente, le persone tendono a ritenere colpevole chi è l’oggetto di una pena “preventiva”.

E a proposito: a questo punto erano passate 48 ore dalla mia mail a Facebook: nessuna risposta al mio messaggio…

Un problema di diritto - Ora, se permettete, qui il problema non è personale. Non sono i miei contatti, cui pure tenevo molto. E non è nemmeno problema di cosa abbia fatto io, per quanto io non abbia fatto nulla di irregolare.

Qui il problema che abbiamo di fronte è quello dei diritti degli utenti di Facebook e delle regole della piattaforma, che non possono andare contro i principi che regolano lo stato italiano, oltre ad essere contrari ad ogni buon senso. Del resto queste grandi aziende sono molto “ragionevoli” quando sbarcano in paesi come la Cina: dicono che le leggi locali vanno rispettate.

Quelle di un paese democratico possono essere ignorate?

E’ ora che questa  assurdità venga corretta. Posso anche accettare di essere espulso, se mi si spiega il motivo del provvedimento e mi si dà la possibilità di argomentare in mio favore.

Ogni altro comportamento da parte dei gestori del sistema è illegale. 

Habeas data: signori legislatori, ci sentite? -  Ho difeso Facebook contro l’emendamento repressivo del senatore D’Alia e lo rifarei mille altre volte. Penso che ci sia un’oscena tendenza dell’establishment a pensare in termini di “normalizzazione” repressiva di internet. Non è questo il caso, non il mio almeno. Non sto chiedendo nessuna legge ammazzafacebook e meno che mai misure a pioggia che danneggino le aziende americane che in Italia hanno rappresentanza e reperibilità. Solo il rispetto dei diritti degli utenti di Facebook e di qualsiasi altra azienda che attui policy simili.

Signori deputati e senatori, signori deputati europei vecchi e nuovi: occupatevi in modo positivo della vita digitale, invece di provare a stroncarla, filtrarla, censurarla, e magari regalarla ai padroni del vapore, oh scusate, di cavi e “cellule”… E quindi.

Quindi l’espressione Habeas data  non è mia, ma si pone ormai come un tema della società contemporanea. Non solo per le mie foto su Facebook (che a proposito continuano ad essere a disposizione della piattaforma e possono essere, in teoria, riusate da loro mentre io sono disabilitato come utente) ma per tutti noi.

Non ci sono servizi gratuiti - C’è chi argomenta dicendo che la gratuità del servizio “sospenda” ogni diritto agli utenti. Di solito si tratta delle stesse persone che si inviperiscono contro i giornali on line se solo gli si chiede di lasciare un mail per inserire un commento sotto un articolo.

A parte che dovremmo riflettere se per caso non stiamo avallando, con un click messo distrattamente sotto scassati “terms of service”, una morte lenta di ogni garanzia, vorrei dire con tutte le mie forze: vi sbagliate!

Io-utente pago Facebook e qualsiasi servizio “gratuito”: con i miei dati, il mio tempo, i miei contenuti. E lo pago con l’uso che ne faccio, perché contribuisco a migliorarlo e perfezionarlo. E’ questo il patto su cui regge l’economia digitale.

Non c’è niente di scandaloso in questo, se non la pretesa di definire gratuito il servizio, che invece tesaurizza in pubblicità, come fanno anche i giornali on line del resto, il tempo di vita dell’utente.

Tutto chiaro: lo scandalo sta semmai nel volersi comportare come principi di secoli antichi. Però Don Giovanni è finito all’inferno, e Josef  K. non abita più qui. O sì, invece?

Ridatemi i miei contatti: e che me li ridiate o meno, da oggi in poi su questo tema è battaglia.

(Nel momento in cui questo post viene pubblicato sono passate 76 ore dall’invio del messaggio di segnalazione: non ho ricevuto alcuna risposta).

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Oggi denuncio Facebook
Mon, 04 May 2009 15:34:21 GMT

sabato, marzo 28, 2009

venerdì, gennaio 02, 2009

italiani nel mondo

Sparkling wine also big hit abroad

(ANSA) - Rome, December 31 - The vast majority of Italians will usher in 2009 toasting with Italian sparkling wine, which is also making major inroads abroad.
Over 85% of the bottles popped at New Year's will be Italian spumante or prosecco, a 2.1% increase in the number of bottles of bubbly consumed last year, according to the Confederation of Italian Farmers (Cia).
This has been a boon year for Italian bubbly with over 300 million bottles sold for a turnover of more than 2.3 billion euros.
This year was also the first time that the number of bottles being exported surpassed those being consumed at home.
Europe absorbed 74% of total exports and ''Italy is now beginning to close in on France, which exports some 180 million bottles of bubbly,'' sector sources said.
Despite the increase in exports, Italy remains the third-biggest producer of sparkling wine after Germany with 480 million bottles and France with 435 million.
The same line up regarded per capita consumption with Germany at six bottles a year, France with five and Italy, as well as Spain, with three.
The vast majority of bottles of Italian bubbly produced in 2008 were made using the Charmat Method while the rest were made using the traditional Champenoise Method.
The Charmat Method, invented in the early 1900s by Eugene Charmat, involves putting bubbles in wine by adding sugar to a sealed tank, letting a second fermentation take place and then transferring it to a bottle under pressure.
In the Champenoise Method, invented by the French monk Dom Perignon in 1640, the wine is fermented in the same bottle in which it will eventually be served.